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Seduti a un caffè

Creato il 08 maggio 2015 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
Ispirata dalla ricorrenza della morte di Gauguin (8 maggio 1903), ho cercato in rete un po'di suoi dipinti, anche perché i colori delle sue tele, in questi giorni di sole, sono sempre graditi. Mi sono imbattuta in diverse opere che non conoscevo e, immediatamente, sono rimasta colpita da un quadro ambientato in un locale notturno, con una donna in primo piano e un tavolo da biliardo alle spalle. Si tratta di Il caffè di notte, ricordato anche come Ritratto di M.me Ginoux, proprietaria del Café de la Gare di Arles

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 P. Gauguin, Caffè notturno ad Arles - Ritratto di M.me Ginoux (1888)


I colori del locale e il tavolo da biliardo faranno venire in mente a tutti voi un dipinto più noto di Van Gogh che, oltre allo stesso titolo, ha anche la stessa datazione: quel 1888 in cui i due artisti vivono insieme ad Arles con l'auspicio di costruire un piccolo nido dedicato ai pittori ma che si conclude con il ritorno di Gauguin a Parigi e con il successivo gesto di delirio di Van Gogh, che si taglia un orecchio. 

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V. Van Gogh, Il caffé di notte 1888


Questa M.me Gionoux, nel 1888 è uno dei soggetti più rappresentati anche da Van Gogh, assieme al suo locale e ai suoi libri. Nel dipinto di Gauguin ella dà le spalle ai suoi avventori, ma si presenta nella posa caratteristica in cui la ritrae anche Van Gogh, forse una sua abitudine, forse il frutto dell'influenza reciproca fra i due artisti. Ciò che è certo è che ella appare come la personificazione della malinconia serpeggiante nelle vite dei due artisti, l'uno dei quali la sfuggirà in Polinesia, l'altro solo con la morte. 

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V. Van Gogh, Terrazza del caffè ad Arles (1888)

Il caffè stesso è rappresentato come un luogo triste, in cui, anche se alcuni degli avventori sono seduti ad uno stesso tavolo, si avverte una sensazione di incomunicabilità, solitudine e abbandono, e non solo nei dipinti di questi due artisti.
Il caffè sembra diventare il luogo dell'alienazione, il locale in cui ci si rintana per sfuggire ad una realtà personale, perdendosi nel gioco e nell'alcol, sedendosi ad un tavolo che, con la sua fisicità, segna una barriera, soprattutto quando è piccolo e non puè ospitare attorno a sé altre sedie. Esso diventa il simbolo di una condizione esistenziale. Si tratta di un tema molto fortunato, toccato da diversi artisti. Di Van Gogh è oltremodo nota La terrazza del caffè di notte (1888), meno conosciuto è il contemporaneo ritratto di Agostina Segatori al caffè de Tambourin di Parigi, anch'essa proprietaria del locale, oltre che amante di Van Gogh nel 1886 e modella ritratta da diversi altri artisti, fra cui Corot, Delacroix e Manet.

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V. Van Gogh, Agostina Segatori al Tambourin (1887-88)


La posa e il copricapo della Segatori richiama inevitabilmente un locale e una donna dipinti dieci anni prima da Edgar Degas a Parigi: il suo L'assenzio presenta la descrizione più nota dell'alienazione e del disorientamento della classe povera parigina ritratta nei romanzi dei Naturalisti ed è significativo che proprio il suo desiderio di descrivere il lato oscuro della Belle Époque abbia portato alla sostituzione del titolo originario Il caffè con il nome della bevanda stupefacente allora molto diffusa.

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E. Degas, L'assenzio (1876)


Attraverso l'ignota musa di Degas siamo naturalmente traghettati alla Bevitrice d'assenzio di Pablo Picasso (1901), oggi all'Hermitage di San Pietroburgo, ritratta ancora una volta con il mento appoggiato alla mano e, i più, con l'altro braccio che si avvolge attorno al corpo, come a cercare una sorta di conforto o protezione, negato però dalla solitudine e dalla malinconia simboleggiati dal suo abito blu.

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H. de Toulouse-Lautrec, La bevitrice (1889)


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P. Picasso, Bevitrice d’assenzio (1901)

Non sono migliori le condizioni della Bevitrice ritratta da Henri de Toulouse-Lautrec nel 1889, artista che raffigura spesso ambienti e personaggi immersi nella degradazione, anche a causa dei propri vizi e disturbi (morirà nel 1901, a soli trentasette anni, per l'aggravarsi delle sue già fragili condizioni di salute a causa dell'alcolismo e della sifilide). Anche in quest'opera, dunque, una donna sola, sfigurata dall'alcol e dalla solitudine, o, per meglio dire, dal secondo a causa della prima. Le donne sembrano essere soggetti prediletti in questo genere di rappresentazione, incarnazione di chi è indifeso in una società che corre verso il progresso e lascia indietro le persone più fragili, separando con una forbice i cui estremi non si incontrano più, i benestanti fruitori dell'arte e coloro che in essi vengono ritratti. Non è, tuttava, un mero disagio economico a causare quello esistenziale: se ci spostiamo al grande pittore americano della solitudine vediamo che questo isolamento e questa incomunicabilità coinvolgono anche gli eleganti avventori di moderni locali illuminati a giorno. Hopper dipinge il silenzio, ritrae, assieme ai suoi personaggi, le parole non dette o inesprimibili di chi, anche nella società contemporanea, è travolto dall'impossibilità di comunicare ed essere compreso. Oltre che del famoso quadro I nottambuli (1942), il caffè è ambientazione dell'originale Sera blu (1914), che si concentra sulla figura malinconica per eccellenza, quella del clown, eternamente sospeso fra la finzione che raduna attorno a lui la folla e una vita reale in cui nessuno si avvicina.

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E. Hopper, Sera blu (1914)


Ancora una donna è poi protagonista di Tavola calda (1927), traduzione visiva del disagio diffusosi con la Grande Depressione, un ritratto inquietante, in cui l'estraneità della protagonista è talmente forte che essa non si riflette nella vetrina su cui si proietta la luce delle lampade. Anch'ella, come la bevitrice di Degas e quella di Picasso, tiene gli occhi bassi, e nemmeno Agostina, M.me Giroux e l'ubriaca di Toulouse-Lautrec fissano l'artista, cercando un contatto visivo con l'osservatore della tela (e nessuna di loro, anche se ha accanto una bottiglia, sta bevendo): lo sguardo sfuggente, che si proietta in un mondo a noi inaccessibile, rimarca lo stato di abbandono e di totale lontananza da noi e dagli altri. 

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E. Hopper, Tavola calda (1927)


Il caffè, mito illuministico della società che coopera per il benessere comune, diventa, dalla seconda metà dell'ottocento, luogo della solitudine: laddove la comunicazione e la compagnia dovrebbero essere più facili si stende invece un velo di malinconia, che rende misteriose e malinconiche le figure che siedono ai tavolini.

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E. Hopper, I nottambuli (1942)


C.M.

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